Case Condivise

Un “nuovo” fenomeno sta movimentando le serate milanesi. Ci addentriamo in un’atmosfera intima e nascosta, quella degli incontri e degli eventi espositivi ospitati in abitazioni private.
È una pratica riscoperta e rimessa in gioco da giovani artisti e curatori, che proprio in questi ultimi mesi si è concretizzata in diversi appuntamenti: “Radical Intention”, nell’abitazione dell’artista Maria Pecchioli, “There’s no place like home”, nell’appartamento di via Col di Lana 4, “Homeproject” (HP) nel loft privato dello stilista Tomaso Anfossi e “Be quiet please”, a casa di Marco Mucig e Annalisa Turroni.
La casa come luogo. Non è certo la prima volta che le case si trasforma
no in spazi espositivi, artisti e curatori per l’urgenza di mostrare i propri lavori hanno scelto più volte luoghi privati, salotti, cucine, stanze da letto, appropriandosi dell’atmosfera che li abitava. Si possono citare i dadaisti o i collettivi di rivendicazione sociale della fine degli anni Sessanta (ex. Women House in California) oppure “Kitchen Exhibition” di Hans Ulrich Obrist, per arrivare a oggi, momento in cui la casa assume toni di indipendenza e condivisione, con delle sfumature Fluxus di happening spontanei e di mescolanze tra attori e fruitori.
Milano, città di mode e individualismo, non è estranea a questa pratica, sin dagli anni Ottan
ta gruppi di artisti si ritrovavano a vivere insieme, dal caso di via Lazzaro Palazzi (Mario Airò, Liliana Moro, Bernard Rüdiger, Dimitris Kozaris e altri) a via Fiuggi (Simone Berti, Marco Boggio Sella, Sarah Ciracì, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati, Deborah Ligorio, Diego Perrone, studenti di Alberto Garutti all’Accademia di Brera)... Luoghi dove gli artisti hanno vissuto e lavorato insieme, inaugurato mostre e molto spesso organizzato feste. A Milano è difficile che manchi la componente “aperitivo chic”, momento fondamentale delle relazioni sociali artistiche e non solo, e la casa in quanto ambiente più informale e duttile rispetto alla galleria è il luogo adatto: non solo per la leggerezza di una serata di incontri, ma anche per l’indipendenza da ogni situazione ufficializzata dell’arte.
Lo spazio casalingo è pregno di quella quotidianità che incuriosisce e mette a proprio agio, il divano scomposto, i bicchieri nella credenza, un piatto nel lavandino. Questi elementi permettono di interagire con inaspettata familiarità con le stanze della casa e con gli ospiti sopraggiunti, sia per progetti espositivi come quelli di “There’s no place like home”, “Homeproject” e “Be quiet please”; sia per dibattiti aperti e informali come quelli proposti da “Radical Intention”.
Ho incontrato i curatori-catalizzatori di questi progetti e ho chiesto loro perché avessero scelto un casa: Francesca Chiacchio, che insieme a Anna Caterina Bleuler e Sara Errico cura il progetto “There’s no place like home” di via Col di Lana, ha sentito
la necessità di impiegare un ambiente domestico sia per la mancanza di spazi in città che per la difficoltà di sostenere un affitto in un momento di crisi economica, ma anche per la sfiducia nei più giovani da parte dei “gestori” dei luoghi dell’arte meneghina-italiana.
Per Maria Pecchioli, artista che insieme ai curatori Aria Spinelli e Michele D'Aurizio ha dato vita a “Radical Intention”, invece: “la casa è il luogo ideale per attivare un processo di relazione fra: la casa e l'ospite, l'ospite e l'ospite, l'arti
sta e gli oggetti, i fruitori esterni dello spazio privato e dell'intervento pubblico. Ho messo a disposizione la casa studio di via Malaga di cui sono divenuta un semplice strumento, un veicolo in grado di traghettare gli artisti e i curatori invitati in una dimensione ambigua, dove il confine fra intimo e condiviso fosse costantemente messo in discussione”.
La location di “Be quiet please”, spiegano i due padroni di casa, prevede che il pubblico si presenti per guardare, per assaporare davvero le opere di un nuovo artista, non che intervenga per presenziare, per “esserci per esserci”. Una volta visitate le opere, illustrazioni e disegni degli outsider del sistema delle gallerie d’arte, i visitatori sono invitati a lasciare lo spazio ai successivi intervenienti. Lo spazio è ristretto, l’accoglienza calorosa.
Homeproject”, che il 5 luglio ha inaugurato il terzo appuntamento, nasce dalla volontà dell’artista Marco Belfiore e dalla passione per l’arte contemporanea del giovane stilista Tomaso Anfossi, scegliendo la casa come luogo in cui poter mettere a confronto artisti diversi tra loro, che spesso non hanno ancora esposto a Milano o in Italia, m
imetizzati in un ambiente privato, quasi un set per una festa privata. Il progetto consiste in una serata-evento aperta a chi è curioso di vedere qualcosa di nuovo. “Il loft è un ambiente insolito e non propriamente adatto alle mostre” spiega Marco Belfiore: “ma è incredibile come ogni volta gli artisti invitati da me e Tomaso riescano a trovare un sistema efficace per esporre le proprie opere tra tavoli, sedie, finestre e letti”.
Nelle case esperienza molto diverse, atmosfere differenti, eppure molto simili per i caratteri di indipendenza e capacità di coinvolgere un pubblico finalmente eterogeneo, diverso da quello delle gallerie e degli spazi istituzionali che hanno i propri Clan, purtroppo a volte rivali, di affezionati.
Maria Pecchioli spiega che “con RI si intende una pratica e una modalità di intervento che
cerca di agire in modo inusuale e imprevisto all'interno di un contesto. RI è dunque un contenitore più che un collettivo. RI è nato dalla necessità di sperimentare la relazione e la costruzione di zone autonome in cui è possibile intervenire e discutere”.
Francesca Chiacchio racconta della “Puntata pilota” di “There is no place like home”, tenutasi all’inizio di giugno, come serata inaugurale di un ciclo di mostre che avrà luogo tutti i lunedì di ottobre nell'affascinant
e appartamento di via Col di Lana. Spiega: “Siamo partite dall'idea di creare una puntata pilota, prendendo in prestito il termine dalle fiction televisive, come termometro per testare il gradimento del pubblico. La puntata pilota ha presentato le stanze dell'appartamento in cui una quarantina di artisti lavoreranno il prossimo autunno. In ogni stanza uno schermo mandava in loop una serie di immagini selezionate da youtube, come esemplificazione di alcuni degli effetti che il condizionamento mediatico apporta all'interno di una comune famiglia italiana. In sovrapposizione alle immagini il musicista Stefano Testa e il collettivo F84, suonavano all'interno del cavedio aperto sulla cucina, simbolo di un generatore di valori che si riversava negli spazi domestici”. Marco Belfiore racconta che: “Per Tomaso Anfossi ‘Homeproject’ rappresenta un modo diverso per incontrare gente e socializzare con persone che appartengono ad ambienti diversi da quello della moda, per me invece è quasi un completamento della mia ricerca artistica, perché credo che rapportarsi concretamente ad arti artisti sia uno di modi migliori per alimentare la propria e l'altrui ricerca».
Chi è invitato a entrare? A chi volete dare le chiavi di casa? Sperate di allargare il vostro pubblico?
Francesca risponde che l’interesse è senz'altro per un pubblico "motivato" ma soprattutto eterogeneo. Al pubblico chiamato a partecipare viene chiesto di suonare il citofono, attraversare un cortile ed entrare in una dimensione amicale, dove sviluppare nuove reti di conoscenze.
Maria risponde citando Georges Braque: “Pochi possono dirsi: ‘Sono qui’. La gente si cerca nel passato e si vede nel futuro” (Quaderni, 1917/47).
Marco spiega che “il pubblico di ‘Homeproject’ è composto non solo da addetti ai lavori (critici d'arte, curatori, galleristi, artisti), ma anche da persone che appartengono al mondo della moda, sport, architettura o semplici curiosi di passaggio. Va specificato che in ‘Homeproject’ io non sono il curatore, ma semplicemente una persona che intercetta e invita altri artisti ad una collaborazione che prevede lo scambio costante di idee. Molto spesso sono io stesso che ricevo istruzioni dagli artisti su come verranno esposti i lavori, compresi i miei in relazione ai loro”.
Il 15 giugno si è concluso il primo ciclo di “Radical Intention” intitolato “Things can change Quickly” iniziato a gennaio del 2010 con una conversazione tra Cesare Pietroiusti e Aria Spinelli sul ruolo della casa come spazio di attivazion
e e condivisione. Dalle riflessioni sul progetto di Pietroiusti alla Fondazione Baruchello di Roma, “La casa di cui tutti hanno la chiave” (2004), si è condotta un’analisi sulla casa come punto di partenza per la creazione di un’opera d’arte collettiva.
Cosa è previsto per il futuro? Come si svilupperà Radical Intention?
“Una delle intenzioni è portare ‘Things can change Quickly’ fuori dalle mura domestiche stabilendo un ulteriore confronto con gli intervenuti e le esperienze artistiche che accadono in città”, dice Maria, “Abbiamo attiv
ato un percorso che dovrebbe svilupparsi in tre tipologie di intervento da condurre durante il prossimo anno: in questo caso RI si sposterà nello spazio pubblico andando a scardinare le modalità di fruizione e relazione più tradizionali. Di fatto ci auguriamo che l'intenzione radicale e le modalità ad essa affini si moltiplichino come un virus fino a sfuggire al nostro stesso controllo. RI si sviluppa seguendo delle esigenze piuttosto basiche dell'essere umano, dando spazio a domande che non prevedano necessariamente delle risposte immediate, cercando di valorizzare le strutture istintive e imprevedibili nella fase progettuale e edificando l'errore considerato come categoria positiva del fare. Non aggiungo di più per non sciupare la sorpresa!”
La vera sorpresa è vedere artisti di diverse età, curatori, critici italiani e stranieri di passaggio, capitare in queste case e dialogare fuori dai soliti schemi relazionali della città. Questi contesti permettono a un pubblico che non annuisce sempre per forza e non partecipa all’inaugurazione solo per farsi vedere, di porre le domande più inaspettate ai propri interlocutori. Sembra che l’energia di quella che si potrebbe definire una “nuova” generazione di artisti-curatori stia diventando contagiosa e critica nei confronti delle politiche del sistema dell’arte italiano.
Le case sono luoghi molto dinamici, leggeri, agili, aperti, ospitali, dove in una serata tutto si conclude, le fatiche e le soddisfazioni. Perché la casa ha anche una sua temporalità, fatta di momenti quotidiani, privati, per cui alla fine, a notte fonda, deve tornare a essere casa, spesso all’interno di un condominio con regole precise. Marco Mucig e Annalisa Turroni pubblicano, infatti, la “lettera ai condomini”, dove spiegano i loro intenti e chiedono collaborazione (http://www.bequietplease.it/index.php?/lettera-ai-condomini/).
E poi? Come collezionare questa preziosa estemporaneità?
Si usano blog e website, che possano documentare le esperienze, che però per la loro natura di incontro, sono d
ifficilmente documentabili. Per cui, aspettando di partecipare ai prossimi appuntamenti, l’invito è di visitare questi luoghi, per ora virtuali: http://www.bequietplease.it/, http://www.ognilunediottobre.blogspot.com/, http://www.radicalintention.wordpress.com/


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